cosa sono, come si producono e quando si utilizzano

anticorpi monoclonali
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Da diversi mesi si sente parlare sempre più frequentemente di Anticorpi monoclonali nella terapia per il Covid-19. Pero’ la maggior parte della popolazione non ha minimamente idea di cosa si tratti.

In questo articolo tenterò di spiegare questo argomento in modo schematico, al fine di renderlo comprensibile a tutti (spero!).

Quando nel nostro organismo entrano cellule estranee, come, per esempio, i germi, si attivano, in modo automatico, dei meccanismi di difesa in cui entrano in gioco principalmente le cellule a questa deputate: i linfociti. Da questo incontro, germe più linfocita, si innescano importanti processi, che, a seconda della prevalenza dell’uno o dell’altro, porteranno alla malattia o, all’inverso, alla guarigione.

In questa lotta contro i germi gli anticorpi sono gli attori principali.

Produzione fisiologica di anticorpi

Le cellule che producono e secernono le molecole degli anticorpi sono le plasmacellule, che evolvono a partire da piccole cellule, i linfociti B; gli altri linfociti, che non evolvono in plasmacellule, e che sono responsabili dell’immunità cellulare, sono i linfociti T.

Gli anticorpi, dunque, sono sostanze proteiche con struttura e funzioni particolari che vanno a cercare i germi. Li cercano principalmente nel sangue, e si legano a particolari strutture di questi, gli antigeni. Una volta ottenuto questo legame antigene-anticorpo prendono il via alcuni fenomeni che condurranno, se possibile, alla distruzione del germe. Tutto ciò, enormemente semplificato, costituisce parte delle modalità con cui il nostro organismo si difende dall’invasione di sostanze estranee. Si definisce risposta immune di tipo umorale (distinta dalla risposta  immune cellulo-mediata, in cui avvengono altri tipi di risposta immune, ma non mediata da anticorpi).         (Per approfondire si rimanda ai testi di Immunologia.)

antigene anticorpo

Una parte dei linfociti B continuerà a secernere piccole quantità di anticorpi, anche per anni, mentre altre, raggiungendo la milza o i linfonodi, diventano linfociti B di memoria. Questo significa che non producono anticorpi ma sono pronti, in una successiva esposizione allo stesso antigene, a differenziarsi rapidamente per produrre anticorpi specifici in grandi quantità. Questa memoria immunologica, pertanto, consente una risposta molto rapida, specifica e quindi più efficiente.

Riepilogando:

i linfociti B “esprimono” sulla loro superficie un anticorpo capace di riconoscere un antigene specifico ubicato sulla superficie di un microorganismo. Quando avviene il legame antigene-anticorpo il linfocita si attiva, inizia a proliferare formando un clone. Linfociti diversi, proliferando, formano altri cloni che produrranno anticorpi specifici per altri siti specifici del germe.

Quanto descritto è il meccanismo fisiologico della produzione anticorpale: giacchè a tale processo partecipano più cloni cellulari gli anticorpi prodotti sono definiti policlonali. I meccanismi di cui sopra, anche se ottimizzati da millenni di evoluzione, non sempre fanno raggiungere i risultati sperati. E’ sotto gli occhi di tutti come la guarigione dalle malattie non sia appannaggio di tutti. Per questo si è pensato di ricorrere ad altri mezzi che, in fondo, agiscono potenziando il nostro sistema immunologico. Principalmente i vaccini e, più recentemente, gli anticorpi monoclonali.

Cosa sono gli anticorpi monoclonali

Gli anticorpi monoclonali sono proteine prodotte sinteticamente. Anche loro, come dice il nome, hanno capacità anticorpali: ma, invece di essersi formati naturalmente, come avviene tramite il nostro sistema immunitario, gli anticorpi monoclonali sono creati in laboratorio. Sono prodotti in grande quantità, altamente specifici contro antigeni di svariate malattie, anche tumorali.

Vengono prodotti in laboratorio anticorpi nei confronti di un antigene predefinito (parti di un germe o recettori di una cellula tumorale). Questi anticorpi specifici vengono introdotti nell’organismo in grandi quantità. Qui sfruttano i meccanismi di difesa che ognuno ha sviluppato naturalmente per trattare malattie contro le quali i farmaci tradizionali sono poco efficaci.

Negli ultimi 50 anni, la ricerca ha prodotto quasi 100 tipi di anticorpi monoclonali. Ha creato in questo modo terapie valide per alcune malattie, capaci di ridurne sensibilmente la letalità.

La specificità dipende dal fatto che gli anticorpi monoclonali (MAb, Monoclonal AntiBody) sono prodotti da linee cellulari derivate da un unico clone cellulare. Invece gli anticorpi naturali sono policlonali.

Come si producono

Per produrre in laboratorio anticorpi monoclonali non è possibile utilizzare normali linfociti B, sia perché non produrrebbero anticorpi monoclonali monospecifici, sia perché i linfociti B, qualora siano coltivati in vitro, muoiono dopo brevissimo tempo, e quindi non potrebbero essere utilizzati per fornire anticorpi per un lungo periodo.

Allora, come si fa ? Si isolano linfociti B immunizzati verso uno specifico antigene, e si procede alla loro fusione con cellule “trasformate” cioè cellule provenienti da un mieloma, un tumore dovuto alla proliferazione patologica delle cellule B, che hanno maggiore sopravvivenza. Le cellule ibride (o ibridomi) derivate da questa fusione, coltivate in vitro, vivono molto a lungo, e producono grandi quantità dell’anticorpo monospecifico..

I linfociti B provengono dalla milza e dai linfonodi di un animale immunizzato,  mentre le cellule trasformate sono cellule provenienti, in genere,  da mieloma umano più o meno ingegnerizzato (umanizzato). Per la fusione si usa il polietilenglicole: il tutto in un terreno di coltura che ha la capacità di inibire la crescita sia delle cellule mielomatose che delle cellule della milza non fuse, risparmiando gli ibridomi.

anticorpi monoclonali

Gli ibridomi così ottenuti vengono saggiati con apposita metodica per individuare quelli che sintetizzano l’anticorpo desiderato.

Una volta selezionati possono essere propagati in vitro e/o conservati in azoto liquido per poi essere utilizzati in un secondo momento.

Gli anticorpi così ottenuti sono monoclonali, e, una volta iniettati al paziente, si legano specificatamente alle cellule bersaglio, individuate come antigene, neutralizzandole, eliminandole e facendo in modo che il sistema immunitario venga stimolato. 

Tipologie di anticorpi monoclonali

Nel caso in cui non siano legati, attraverso sofisticate metodiche chimiche, a farmaci o materiale radioattivo si parla di Anticorpi monoclonali nudi; se, viceversa, sono uniti a un farmaco chemioterapico o  a un isotopo radioattivo o a una tossina citotossica, vengono definiti Anticorpi monoclonali coniugati. Sia gli uni, che gli altri, vengono impiegati in terapia contro i tumori, nelle malattie autoimmuni. Ma anche in campo diagnostico (i tests di gravidanza ne sono un esempio).

I non addetti ai lavori si saranno accorti che gli anticorpi monoclonali utilizzati in campo terapeutico hanno dei nomi particolari che li contraddistinguono. Tutti (o quasi tutti) hanno un suffisso -mab, che sta per Monoclonal AntiBody; il resto del nome fa riferimento alla loro origine, ovvero se derivate da quel tipo di cellule piuttosto che da altre (per esempio  -zumab piuttosto che –umab o –ximab o –omab).

Per esempio non ha il suffisso –mab Etanercept un anticorpo monoclonale utilizzato per l’artrite reumatoide, che deriva da proteine di fusione, mentre i più diffusi anticorpi monoclonali ad uso terapeutico per targets specifici sono: Bevacizumab (oncologia); Trastuzumab (oncologia); Adalimumab (malattie autoimmuni e infiammatorie); Infliximab (malattie autoimmuni e infiammatorie); Rituximab (oncologia, malattie autoimmuni e infiammatorie)

Risulta evidente che una particolare indicazione per gli anticorpi monoclonali è costituita dalla terapia oncologica. In questo caso bloccano specifici recettori delle cellule tumorali impedendone la crescita.

 Dalla letteratura medica si evince che la terapia con anticorpi monoclonali, in questi campi, ha alte percentuali di successo.

Uso degli anticorpi monoclonali anti Covid-19.

Anche per il Covid-19 è previsto l’impiego di anticorpi monoclonali, con due scopi: impedire l’ingresso nella cellula ospite; e fare in modo che il virus non si replichi. Il loro meccanismo d’azione è semplice: legandosi al recettore della proteina spike di SARS-CoV2, bloccano il suo ancoraggio al recettore ACE2 umano, inibendo, di fatto, la  penetrazione del virus, ossia impedendo che avvenga l’infezione. In questo modo rendono il virus più facilmente aggredibile dai macrofagi, altre cellule del sistema immune. Inoltre gli anticorpi monoclonali riescono a riconoscere siti antigenici molto specifici del virus, per cui la loro efficacia aumenta. Proprio per questo motivo alcuni ricercatori ritengono sia preferibile usare una sorta di cocktail di anticorpi monoclonali.

E’ indubbio che abbiano una sostanziale efficacia nel ridurre le forme più gravi e, comunque, impediscono che queste evolvono in forme a maggiori gravità. Sappiamo che nella prima fase della malattia non esistono farmaci antivirali affidabili, al contrario di quanto avviene nella seconda fase in cui sono adottati vantaggiosamente, per combattere l’ infiammazione,  farmaci come i cortisonici o le eparine a basso  peso molecolare. Quindi è nella primissima fase della malattia che questi farmaci debbono essere utilizzati: ne è esempio aneddotico l’ex Presidente USA D. Trump, che, sottoposto ad un’unica somministrazione endovena del farmaco nelle prime fasi della malattia, ha potuto, nell’arco di due giorni, riprendere le sue normali attività.

Al di fuori di questo esempio eclatante, le esperienze “sul campo” sono, a dir poco, incoraggianti.

Quando vanno usati

Tuttavia gli anticorpi monoclonali non prevengono le infezioni. Non agiscono come i vaccini: anche se per qualche tempo dopo l’impiego rimangono in circolo nell’organismo, il loro uso va  limitato ai soggetti già infettati allo scopo di impedire che si aggravino.

Per tali motivi non possono essere impiegati da soli nella pratica clinica. Considerando che il loro uso và limitato a soggetti già infetti, ma con forme lievi, può essere utile nei pazienti “fragili”. Debbono essere somministrati nelle fasi precoci di malattia, con infusione venosa di circa un’ora, con un tempo di osservazione tra i 15 ed i 30 minuti (come si fa per i vaccini).

Dati questi presupposti si capisce trattarsi di un presidio terapeutico da utilizzare con la massima cautela ed in presenza di un protocollo d’uso.

A ciò si aggiunge la mancanza di dati circa la loro efficacia nei confronti delle varianti. Ma gli anticorpi monoclonali sono farmaci sintetici ottenuti in laboratorio sulla base di un tipo di cellula immunitaria ricavata dai pazienti già immunizzati al Covid. Quindi non dovrebbe essere troppo complicato ottenere una versione adatta utilizzando, per la preparazione in serie di un nuovo anticorpo monoclonale, del siero prelevato da soggetti convalescenti da infezione con virus “variato”.

Infine, a coloro i quali obiettano che siano farmaci costosi si puo’rispondere che il loro utilizzo deve essere oculato (e precoce), e va riservato ad alcuni pazienti, ben selezionati.

Situazione italiana

In Italia, preceduto da un documento della Commissione Tecnico scientifica dell’Aifa e del parere del Consiglio Superiore della Sanità che hanno espresso parere positivo (pur con alcune riserve), il Ministro della Sanità, in data 06/02/2021, ha autorizzato, in via straordinaria, l’uso degli anticorpi monoclonali nella lotta al Coronavirus, destinato ai soggetti non ospedalizzati che, «pur con malattia lieve/moderata risultano ad alto rischio di sviluppare una forma grave di COVID-19».

Sono due le Aziende che sono interessate da questo provvedimento: la Regeneron (con un cocktail di monoclonali, il REGN-CoV2) e la Ely Lilly (con l’anticorpo Etesevimab o un secondo monoclonale, Bamlanivimab). Tra qualche mese potrebbero essere disponibili gli anticorpi monoclonali prodotti dalla Toscana Life Sciences.

In ossequio al decreto i monoclonali non possono essere utilizzati in pazienti ricoverati e ossigenati causa Covid e vanno destinati ad alcune specifiche tipologie di pazienti che abbiano:

  • Body Mass Index (BMI) maggiore o uguale a 30
  • malattia renale cronica
  • diabete non controllato
  • immunodeficienze primitive o secondarie
  • età dai 65 anni in su.

Per quanto riguarda gli over 55, invece, si possono usare in caso di:

  • Malattia cardio-cerebrovascolare (inclusa ipertensione con concomitante danno d’organo);
  • BPCO e/o altre malattie respiratorie croniche.

In conclusione

Il costo della terapia si aggirerebbe sui 2000 €  per una singola dose. Pero’ secondo il parere degli esperti, per il paziente varrebbe quanto una terapia completa col vantaggio, ancora da valutare, che rimarrebbe immunizzato per qualche mese.

Gli anticorpi monoclonali sono utilizzabili solo all’inizio della malattia, tra le 72 ore ed i 10 giorni dai primi sintomi, sempre che non siano gravi. Inoltre le indicazioni all’uso prevedono di utilizzarli solo per quei soggetti che abbiano maggiore probabilità di contrarre la malattia in forma grave. Quindi gli anziani, gli obesi, i diabetici, gli immunodepressi e i portatori di malattie croniche renali.

Infine non ci sono dati per cui gli anticorpi monoclonali antiCovid-19 possano proteggere dalle varianti virali.

Tutto ciò non toglie l’importanza attribuita a questa nuova classe di farmaci, non fosse altro per arricchire il nostro, finora scarso, bagaglio terapeutico con un’arma paragonabile ai cosiddetti proiettili intelligenti (“magic bulletts”), nei confronti di una malattia che ha mietuto, e continua a mietere, tante vittime nel mondo.

                                                                                      Dott. Giovanni Mannino

                                                                                               Infettivologo

                                                                                                  Igienista

Anticorpi monoclonali
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